Dovendo
presentare un “umorista” che si esprime attraverso figure,
segni, colori, mi sono chiesto seriamente se è poi vero che
coloro che si dedicano a questa attività suscitino effettivamente
il riso, che dovrebbe essere il frutto naturale della comicità.
Al gioco e all’invenzione del segno, alla creatività
delle forme, all’attrazione dei colori, agli accostamenti imprevisti
con logiche sotterranee misteriose, corrisponde a tutta prima un forte
accento giocoso, ma se ne cogli il senso profondo, ti accorgi che
il messaggio trasmesso è angosciante. Comunica un senso diffuso
di vuoto.
Basti accennare ai temi che Pierpaolo Perazzolli affronta: l’assurdo
della vita, la disperata solitudine, il consumismo onnivoro, il bombardamento
telematico, le grandi e piccole ossessioni quotidiane, le trasformazioni
genetiche, l’ecologia (come mito, utopia, non meta perseguibile).
E ancora: lo sfruttamento dell’uomo-massa, il dio profitto il
cui immenso stomaco macina ogni valore, l’individuo schiacciato
dalla globalizzazione, la nuova dea Kalì che tutto ingoia e
tritura.
Più in generale, l’insicurezza cosmica nella quale viviamo,
l’inafferrabilità di un senso unitario che leghi fatti,
pensieri, cose.
In un mondo polverizzato nel caotico disperdersi dei suoi infiniti
frammenti, cogliere l’essenza, scoprire il filo d’Arianna
che ci colleghi al tutto e che ci guidi verso un percorso che ci porti
a traguardi rassicuranti è impossibile o quasi.
E che c’è da ridere in tutto questo?
I cosidetti “umoristi” sono semplicemente artisti come
gli altri e perciò interpretano il mondo nel quale vivono così
come i pittori, i poeti, i musicisti, i romanzieri. L’arte moderna
non si può distinguere in comparti separati: esprime la contraddittorietà
del nostro essere nel mondo, evidenzia il malessere diffuso, inventando
forme sempre nuove e dirompenti di espressione.
Nel 1908 Luigi Pirandello cercò di spiegare che l’umorismo
scopre la sofferenza che c’è dietro le sfasature apparentemente
ridicole della realtà, che l’umorista si sente solidale
con la sofferenza la quale cova sotto il ridicolo e mescola il riso
col pianto. Sa Iddio quanto Pirandello avesse visto lontano, con il
suo straordinario spirito profetico.
Ho voluto dilungarmi su questo argomento perchè credo di aver
intuito come il genere “umoristico”si sia trasformato
profondamente in questi ultimi anni, sia diventato tentativo autentico
di lettura e di interpretazione della realtà, non solo deformazione
caricaturale della stessa. In altri termini come si sia trasformato
da “arte minore” ad “arte” nel senso più
ampio della parola.
Il libro di Pierpaolo Perazzolli esprime in pieno questo percorso
dell’umorismo: in un mondo complesso in cui tutto è inafferrabile,
anche chi disegna non ha solo il diritto, ma anzi il dovere di essere
complicato, anche ermetico, se ne sente la necessità. E la
sua comicità apparente affonda le sue radici nel magma di ciò
che nessuno riesce a capire e che è il sottofondo ansiogeno
del nostro vivere quotidiano. Allora cerchiamo di capire che Pierpaolo
Perazzolli, anche se egli pensa di farci ridere, ci induce invece
a riflettere sul senso più profondo della vita.
Livio
Caffieri